Dopo l’era pandemica e della cassa integrazione siamo passati a quella delle grandi dimissioni (the great resignation). Abbiamo capito che era meglio sacrificare la sicurezza economica pur di tenerci stretta la salute mentale. Poi abbiamo voltato pagina. Oggi, tutti (media, guru influencer e utenti social) parlano di Quiet quitting, un progressivo e silenzioso abbandono del lavoro. Se da un lato il nuovo termine serve per spostare l’attenzione su un problema serio, dall’altro viene da pensare che persino l'universo lavorativo non sia immune ai trend (perché, forse, parlare di fenomeno di massa è un po’ presto).

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Cos’è esattamente il quiet quitting?

Anzitutto è importante capire da dove arrivi il termine: è un nativo di TikTok. Sul social, l’hashtag #quietquitting, contava già nei primi giorni di agosto oltre un milione di risultati video. Alcuni utenti con un discreto seguito avevano iniziato a produrre contenuti dedicati all’argomento: “Non mi stresso più, non mi riduco più a brandelli”, aveva confessato Clayton Farris. “In pratica si svolgono ancora i propri compiti, ma si abbandona mentalmente la cultura del trambusto, l’idea per cui il lavoro debba essere la nostra vita”, spiegava invece il tiktoker Zaiad Khan. C’è stato poi un punto di svolta quando Wall Street Journal prima, Guardian e NYT dopo, hanno iniziato a occuparsi della questione, e da semplice hashtag il #quietquitting si è trasformato in un argomento degno di attenzioni mediatiche e analisi.

Yessi Bello Perez, news creator per LinkedIn, social per eccellenza dedicato al mondo del lavoro, ha illustrato in poche parole il significato di quiet quitting, scrivendo che: “significa rifiutare l'idea per cui il lavoro debba prendere il sopravvento sulle nostre vite, e che i dipendenti debbano dare di più, anche quando il lavoro eccede i compiti e le mansioni ordinarie. Secondo Metro, il quiet quitting può assumere molte forme: rifiutare progetti non in linea con i propri interessi, il rifiuto di rispondere ai messaggi al di fuori dell'orario di lavoro, o semplicemente sentirsi meno coinvolti nel ruolo ricoperto”. Stando a quanto riposato dal WSJ, il coinvolgimento lavorativo dei dipendenti negli Stati Uniti sta effettivamente diminuendo. I dati del sondaggio proposto da Gallup (società di analisi e consulenza con sede in America), hanno registrato che tra i millennial e la generazione z (tutti i lavoratori nati dopo il 1989), l’interesse mostrato sul posto di lavoro è diminuito fino al 31% nel primo trimestre del 2022. In Europa, solo il 14% degli intervistati si è dichiarato “realmente coinvolto e soddisfatto” della propria mansione.

Ma perché il quiet quitting preoccupa così tanto? A essere preoccupante non è il quiet quitting in sé, ma l’idea che sono servite una crisi globale e l’inizio di un periodo segnato da incertezze economiche per farci realizzare che, per anni, abbiamo accettato una cultura del lavoro estremamente tossica. “La nozione porta alla luce la pratica generalizzata per cui ai lavoratori è sempre stato richiesto di svolgere compiti extra, spesso indesiderati - scrive la giornalista Tayo Bero sul Guardian - e quando questi rifiutano, viene considerata una forma di ‘abbandono’ del lavoro”. La seconda domanda che il fenomeno, o il trend, se preferiamo, ci porta ad affrontare è questa: chi beneficia, o beneficerebbe, maggiormente del quiet quittig? (leggi anche: chi ha da sempre svolto lavoro extra non retribuito?).

“Alle donne, ad esempio, vengono da sempre chiesti compiti in più, ci si aspetta che svolgano quelle mansioni che nessun altro vuole fare, come organizzare la festa in ufficio, assistere quel cliente che richiede tempo, tenere traccia dei compleanni dei dipendenti e così via", prosegue Bero. Secondo Lise Vesterlund, coautrice del libro The No Club, per un uomo è molto più facile dire di no, perché difficilmente davanti a un rifiuto ci saranno delle conseguenze. Per le lavoratrici entrano in gioco molti più interessi, soprattutto se appartengono a gruppi marginalizzati o vivono situazioni personali difficili. Secondo un'analisi di Bloomberg le persone che potrebbero maggiormente beneficiare del quiet quittig, tra cui le donne, sono anche quelle che in pratica non possono permetterselo. Pagano doppiamente il peso di una scelta (paradossalmente) egoistica: sul posto di lavoro si dovrebbe cooperare, non voltarsi le spalle. "Resta il fatto che fare il lavoro per cui si viene pagati dovrebbe essere la norma, e non venire considerato come un atto di ammutinamento", conclude Tayo Bero.

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